Ogni momento storico ha le sue urgenze o emergenze. Oggi le difficoltà sociali si espandono e dilagano in risonanza con la velocità di cambiamento della società. Velocità che può creare disagio perché richiede processi di adeguamento molto rapidi. Come dice Bauman, parte della fragilità degli esseri umani del nostro tempo sta nel passaggio dalla condizione di produttori a quella di consumatori. Anche i rapporti umani, in opposizione alla frenesia della vita, si sono dilatati ed allentati, come rarefatti. Anche in campo affettivo la forma e i contenuti delle relazioni si adeguano via via ai bisogni momentanei del Consumatore.
L’approccio più comune alle relazioni tende ad essere di tipo consumistico, nel senso che le persone ricercano soprattutto la soddisfazione più o meno immediata di un desiderio, non solo sessuale, piuttosto che la profondità della costruzione di un rapporto affettivo. Il nostro essere diventati consumatori ci ha portato ad essere più calcolatori. Le relazioni sono diventate come un oggetto: agili, veloci e funzionali. Come quelle online. Più semplici, che richiedono poco sforzo e poca abilità, veloci nel conseguimento di risultati immediati, più sicure perché le iniziative che si prendono quando si è connessi si possono annullare senza grossi problemi. In questo modo sui social network c’è sempre qualcuno, 24 ore su 24, sette giorni su sette, pronto a ricevere un messaggio, a rispondere, o a confermare di averlo ricevuto. Per cui abbiamo apparentemente scacciato dall’orizzonte le emozioni di esclusione, estromissione, abbandono, solitudine e rifiuto. Questa velocità e superficialità sta influenzando la capacità di attenzione, concentrazione e pazienza per cui tolleranza, perseveranza e forza d’animo, che sono le caratteristiche della pazienza - che è proprio quella qualità indispensabile per comprendere profondamente ed entrare in relazione con l’Altro – stanno venendo meno.
Il nutrimento affettivo di cui gli esseri umani hanno bisogno non può essere mediato da alcuna tecnologia. Anzi, più cresce la fiducia nella tecnologia più decresce quella negli esseri umani, fino al punto di poter pensare di fare a meno della compagnia altrui. In generale l’empatia è spesso messa in crisi, oltre che dalla tecnologia anche da protocolli sociali consolidati che depersonalizzano la relazione interpersonale a favore di un approccio maggiormente standardizzato.
Tutto questo fa sì che le persone che cercano il nostro supporto, cercano prima di tutto, che esse ne siano o meno consapevoli, di ristabilire relazioni umane soddisfacenti. Ne consegue che il counselor, per prima cosa, deve imparare su di sé a trovare l’empatia che serve per stabilire tali relazioni. Infatti, non è scontato che gli studenti siano empatici per loro natura. La formazione della persona del counselor, dunque, deve essere la prima pietra della sua formazione professionale.
Per fare un esempio della nostra pratica con uno dei nostri attuali studenti, che chiameremo Federico:
Federico è un ragazzo di 25 anni. E’ stato iscritto all’università ma ha abbandonato dopo un anno di studi. Frequenta oggi il terzo anno della formazione.
E’ un uomo sensibile, rispettato e apprezzato dai suoi colleghi studenti. Quando, come parte essenziale della formazione, gli studenti fanno sedute tra di loro sotto la supervisione dei trainer, Federico alterna delle sedute belle ed efficaci, con sedute prive di utilità.
Federico ha un grande limite: egli sa applicare perfettamente, come da manuale le tecniche, e visto che le tecniche Gestaltiche sono uno strumento potente, queste sedute funzionano. Federico però, va in difficoltà quando la seduta richiede una sua presenza come persona, e l’intessere una relazione col cliente appare decisivo.
Federico “sa”, ma non “sente”.
Vive in un piccolo paese vicino Milano, con la madre e tre sorelle poco più giovani di lui.
I suoi genitori hanno divorziato quando lui aveva 11 anni.
Il padre è un reporter di guerra, inviato in diverse parti del mondo.
La madre è una terapista naturopata
Il rapporto con suo padre è molto ambivalente. Da un lato è fatto di ammirazione per un uomo forte e di successo. Dall’altro Federico, odia la violenza di suo padre nei confronti di sua madre. Ma Federico soffre specialmente il disprezzo di suo padre verso di lui. Disprezzo verso questo figlio un tempo goffo e grassottello, che non sapeva correre, che non voleva accompagnare il padre nelle camminate in montagna, e che piangeva spesso.
Un disprezzo da parte del padre, mai scomparso e rimasto attuale fino ad oggi.
Di conseguenza Federico ha sviluppato una enorme e profonda antipatia verso ogni sport o attività fisica. E verso il suo corpo, fonte e causa di tutti i suoi malesseri e della sua infelicità. Federico odia il proprio corpo, e ne farebbe volentieri a meno.
Alle medie è stato facile vittima dell’aggressività dei ragazzi più forti di lui.
Avendo egli abbandonato gli studi universitari, il padre ha visto confermate le ragioni del proprio disprezzo nei suoi confronti, il che a sua volta, ha portato Federico a introiettare una totale svalutazione di se stesso.
I contatti sociali Federico li vive sempre di più attraverso il suo Personal Computer, dove l’assenza totale di fisicità lo tranquillizza. Lì infatti egli trova qualche amico, e amica. Non ha lavoro.
Anche per Federico è diventato chiaro che oltre le consuete terapie di gruppo comprese nel programma del corso, egli ha bisogno di lavorare sulla insensibilità del suo corpo.
Cominciamo con le sedute individuali, facendo un contratto che ci impegna a lavorare molto col corpo. E in queste sedute le sue resistenze ad impegnarsi anche col corpo sono grandi e sembrano insormontabili.
Il fatto di lavorare con me, uomo che chiede a lui di fare un sforzo corporeo, di fare anche una fatica, di sentire anche i suoi dolori, e anche in termini più elementari, di sentire formicolare parte del corpo, è per Federico davvero insopportabile.
A questo punto gli propongo di alternare le sedute con me, a sedute con la mia collega Anna Romanzi. La conosco benissimo, ammiro la sua professionalità, ha anche un figlio dalla stessa età ed ha un calore ed una presenza umana notevole.
Federico mi si presenta come un giovane intellettualmente vivace, un po' provocatore – ma data l’età, la tendenza alla provocazione è naturale – ma anche consapevole del fatto che respira poco e male, e che il suo corpo ha poca energia, che è contratto, dolorante. Il mio lavoro è consistito nel tentativo di rivitalizzare il sé corporeo, intervenendo sui requisiti necessari, quali l’attenzione e la respirazione. Per cui molto lavoro prevede il concentrarsi spostando l’attenzione dagli aspetti cognitivi all’esperienza del corpo, in modo che essa diventi lo sfondo dal quale alcune sensazioni possano affiorare in primo piano.
Nel corso di questo lavoro è stato importante notare il momento ed il modo in cui Federico si disconnetteva dalla percezione del suo corpo. La concentrazione l’abbiamo mantenuta attraverso l’attenzione al respiro, facendolo diventare un processo di inspirazione ed espirazione continua e regolare, come l’onda della risacca. Senza questa regolarità il corpo si blocca.
La sensazione che Federico avvertiva abbastanza rapidamente era il formicolio alle estremità che poteva diffondersi. Questo formicolio non è altro che il risultato di una migliore ossigenazione, che permette al corpo di rivitalizzarsi. Man mano che lavoravamo, la capacità di Federico di stare a contatto con le proprie sensazioni aumentava, e lo aiutava a riconoscere il corpo come contenuto e contenitore.
La tensione cronica si era strutturata desensibilizzando Federico, perché quando il dolore è troppo, inevitabilmente il corpo evita di sentirlo. Ma il prezzo da pagare è alto. Procedendo lentamente, in modo accogliente, ma allo stesso tempo sostenendo Federico nel mantenere il contatto, faticosamente, con parti dolorose, piano piano emersero le sensazioni e le emozioni rinnegate.
Spesso, come nel suo caso, la prima esperienza è quella di avvertire il dolore e di essere stati cronicamente contratti. Portando il respiro verso il punto di dolore, la contrazione si allenta è così che Federico ha iniziato ad accettare di sentire quello che il suo corpo gli rimandava, e dunque di potersi permettere di espandersi, prendendo spazio e spessore. Nella sua vita ha voluto dire iniziare a cercare lavoro e trovarlo in un locale a contatto con la gente, spesso coetanea. Rendendosi così più autonomo, anche economicamente, dal padre.
Nello stesso spirito di lavorare sulla formazione della persona, penso che sia molto importante che ogni allievo faccia un percorso di psicoterapia adeguato al proprio processo di crescita.
Sono moltissime le persone che hanno desensibilizzato il loro corpo o parti significative di esso. E gli studenti di un corso di counseling non sono molto diversi. Anche loro sono sempre più plasmati dalla società nella quale viviamo. Anche loro spesso colpiti dalla crisi economica e dalla mancanza di lavoro.
Problemi come l'insensibilità emozionale, la tensione cronica di una vita troppo stressante, la mancanza di espressività emotiva che può minare le relazioni intime, il cronico mal di testa, i disturbi sessuali indicano e sono tutte espressioni di un fatto fondamentale: la nostra vita, la nostra esistenza è: "incarnata".
La teoria della Somatic Gestalt (Gestalt Somatica) stipula che una persona per sopravvivere, e per svilupparsi e vivere ha necessariamente bisogno di stabilizzare una relazione nutriente con il proprio ambiente.
Una persona si può descrivere come un organismo in relazione col suo ambiente. E qui comincia la dialettica tra il funzionamento di un corpo umano e il mondo in cui vive.
La garanzia ultima per la sopravvivenza di un organismo, di un corpo vivente, è la sua capacità di creare un confine che definisce e legittima la sua esistenza rispetto all' ambiente. Senza un confine non si sopravvive.
Noi corpi umani siamo programmati da migliaia di anni/secoli per sopravvivere, mantenere equilibri interni che garantiscono l’abilità di contattare l’Altro, che incontriamo ai nostri confini, di nutrirci, di consolidare la nostra esistenza come organismi fisici umani. Esiste uno stato di salute, a cui possiamo fare riferimento. Possiamo verificare questo fondamentale stato di salute ovunque, in ogni luogo su questa terra ogni volta che vediamo un neonato ed il miracoloso crescere di piccoli bambini.
Questo continuo contatto con quello che ci circonda da' forma al nostro corpo. E' anche la sorgente dalla quale nasce la nostra identità. E' determinante per la nostra saluta mentale e fisica, come per le nostre patologie, anche quelle sia mentali che fisiche. Sono variazioni, improvvisazioni sullo schema centrale del funzionamento fondamentalmente sano di un corpo/mente umano.
Il Somatic Gestalt counseling assume come punto di partenza la consapevolezza che l'esperienza corporea (consapevole o no) determina sempre il modo in cui definiamo noi stessi, chi siamo, le nostre idee e convinzioni e perciò il modo in cui noi ci muoviamo nella nostra vita.
In questo senso il corpo umano è un esempio meraviglioso di integrazione così come di disfunzione (fisica e psichica), nel momento in cui esso è in grado di contattare in modo adeguato o meno quello che esiste all'esterno del proprio corpo.
In una società in costante cambiamento dove troviamo le risorse per recuperare il senso di quell’equilibrio/benessere che siamo finchè siamo in vita?
Io penso dentro il nostro corpo ed il suo aver trovato un modo efficace di sopravvivere grazie ad un processo durato migliaia di anni.
Possiamo trovare dentro di noi, letteralmente dentro i nostri corpi fisici, la forza, la flessibilità e il coraggio di aprirci verso un ambiente in costante cambiamento. Anche nelle relazioni tra le persone.
Un processo che parte dal riappropriarsi del "me stesso" dentro il proprio corpo. E’ da lì che ricominciano le donne per difendersi dal malinteso Amore.
Una delle cose fondamentali da fare per un Somatic Gestalt counselor in un processo di counseling è di osservare come il cliente si mostra al mondo, rappresentato in questo istante dal suo counselor. Come sono e come adopera il cliente i suoi confini con l’ambiente? In concreto come parla, come si muove, come si veste, in che modo racconta la sua storia, per esempio in relazione alle sue dinamiche familiari, ai suoi rapporti. Ma specialmente come respira, alla sua presenza energetica, alla sua espressività emotiva, alla sua percezione di sé e del proprio corpo.
Alla base di un processo di counseling, e per rimanere nei termini di questo congresso “Quale risorsa nelle azioni degli individui”, potrebbero essere una costante attenzione con la quale il cliente, ma anche e per primo il counselor, prendono atto e rimangono in contatto con quello che succede nel proprio corpo. Queste non è per niente scontato. Per tante persone, e continuo a ripeterlo anche per gli studenti nei corsi di counseling, quella di prestare attenzione al proprio corpo, alle sensazioni del corpo, è una esperienza nuova e molto strana.
Quasi tutto quello che succede nel corpo è il risultato di processi gestiti dal nostro sistema nervoso vegetativo, quindi totalmente automatici (migliaia di anni di perfezionamento) e fuori dalla nostra consapevolezza. Il respiro no.
Poi ci sono i nostri 5 sensi: vista, udito, gusto, odorato, tatto.
Per contattare attraverso queste abilità del nostro corpo il nostro ambiente bisogna notarne le sensazioni. Ma come ho detto, la capacità di notare le sensazioni del corpo non è spesso presente nella consapevolezza delle persone.
E gli studenti che si stanno formando in un corso di counseling non sono per definizione persone sensibili al loro corpo ed alle sue sensazioni.
Ma per essere presente o avere presenza in una relazione di counseling questa è una condizione fondamentale.
Qua le ultime ricerche di neuro scienze aprono una strada.
Come dice Daniel Siegel in uno dei suoi ultimi libri MINDSIGHT (tradotto anche in italiano) oltre ai 5 sensi con i quali contattiamo il nostro ambiente ci sono almeno 3 sensi con i quali contattiamo il nostro interno:
Il sesto senso e’ la capacità di notare e di sentire e di essere le nostre sensazione corporee. Di sentire come noi ci muoviamo, come noi ci sentiamo fisicamente e emozionalmente.
Qua si genera e sviluppa la vera, fondamentale Identità di Me Stesso.
E la capacità di concentrarsi di stare con le sensazione che si pratica nella meditazione.
Il settimo senso si da la capacità di avere pensieri, emozioni e sentimenti, intenzioni, concetti, immagine, speranze. La capacità di sognare su noi stessi e altri.
E’ questa capacità che ci dà la possibilità comprendere profondamente e di sentire L’EMPATIA.
L’ottavo senso è il senso relazionale, che ci fa riconoscere nell’altro.
Qua abbiamo la possibilità di riconoscere le emozioni dell’altro.
E anche la capacità di sentirsi parte di una cosa più grande di noi.
Sviluppa ed attiva quei neuroni dentro il cervello che sono conosciuti come neuroni specchio e che generano la capacità di immedesimarsi con l’Altro.
E il punto centrale in tutto ciò: questi 3 sensi possono essere, come gli altri 5, sviluppati e perfezionati con la pratica. Come risultato del loro sviluppo, cambiano i circuiti e le connessioni tra i neuroni nel nostro cervello e perciò la nostra possibilità di trovare altri modi di comportarci.
E certamente fanno parte integrante di una formazione per un Somatic Gestalt Counselor.
Ci sono tanti metodi che possono agevolare questo sviluppo ma la via principale è la respirazione.
Il respiro è il ponte tra noi e l'ambiente, dal quale possiamo diventare ogni momento consapevoli e perciò controllarlo e gestirlo.
La prima cosa che potrebbe essere fatta dal counselor durante ogni incontro di counseling è di prestare attenzione costante al respiro sia proprio che del cliente.
Si, anche del counselor.
Perché qua ci sono due persone, due corpi in una relazione con l’ambiente, che si incontrano ai loro confini.
Il respiro è un ponte tra loro, fondamentale ed esemplare delle qualità e con le caratteristiche del loro incontro in questo momento. Vale la pena di mettere a fuoco l’attenzione del cliente verso il suo respiro, e di guidarla su di esso.In questo modo può cominciare il percorso di accompagnamento del cliente verso la consapevolezza di come egli/ella abiti la sua casa, se abbia le porte o finestre aperte o chiuse verso l'esterno.
Oggi il counselor può essere, per la sua natura empatica, il “facilitatore” relazionale sul territorio, come uno strumento per rintracciare, all’interno del tessuto sociale, contesti di disagio nei quali sono necessari modelli elastici e flessibili di approccio relazionale. Ricordo la legge 135 del 1990 che aveva sancito il fatto che il test diagnostico HIV/AIDS dovesse essere preceduto e seguito da colloqui di counseling.
Per cui il cliente di oggi è un’unità di sostegno ambientale di domani, perché questa cultura e queste modalità di sostegno possono lentamente diffondersi e divenire strumenti di accesso comune, non rimanendo quindi appannaggio di professionisti.