DAVID

 

 

 

            David entrò nel mio studio indossando dei fluenti abiti indiani. Aveva l’espressione intensa e gli occhi luminosi di un ricercatore spirituale, uno abituato a fare di frequente severe diete, uno che si mette in posizione yoga mentre ti parla. Il suo sorriso era brillante come gli occhi e i suoi tratti somatici, tipicamente semitici... aveva la carnagione olivastra... erano dominati dalle labbra, piene e sensuali. Era un bell’uomo. Sembrava un ballerino e si muoveva come tale. Sapeva bene come usare gli occhi e il sorriso per ottenere la piena attenzione degli altri. Io pensai: “Ecco uno capace di ottenere quello che vuole, ma che molto spesso non sa  cosa vuole.”

 

            Iniziai chiedendogli perché era venuto da me.

 

“E’ ormai un anno che lotto contro questo dolore costante alla coscia destra. Quando sono in ansia (vale a dire praticamente sempre) peggiora e di recente si è aggravato al punto che a volte faccio fatica a camminare. Nessun rimedio sembra funzionare. Ho fatto un completo check-up medico, raggi-X compresi, sono stato visitato da osteopati, pratico lo yoga e la meditazione, ho fatto sedute di agopuntura e ho preso delle erbe per rilassare la muscolatura, ma questa faccenda mi sta facendo impazzire. Mi rendo conto che è legata alle mie emozioni, ma non è questo aiuti molto. Mio padre, che vive sulla costa orientale, ha chiesto in giro per sapere se c’era qualcuno che potesse lavorare su di me qui e un suo amico, uno psicologo, gli ha detto che lei era la persona che faceva al caso mio.”

 

 

 

            Gli chiesi di descrivermi il dolore: acuto, sordo, bruciante, pressante o lancinante?

 

 

 

“E’ una sorda pressione costante che a volte diventa molto simile al mal di denti. A volte mi sveglia di notte e a volte sparisce quasi completamente per uno o due giorni. Quando sono teso, però, diventa veramente brutto e può scendere giù fino al ginocchio.”

 

 

 

“Si verifica solo sul lato destro?”  

 

Sì, ma quando la crisi è particolarmente grave può estendersi all’intera regione inguinale... comprendendo i testicoli e la radice del pene, fino all’ano. Mi da un fastidio terribile dover avere a che fare tutto il tempo con questa cosa. Sono arrivato al punto di avere paura di uscire perché non so mai se sarò costretto a sedermi e a calmarmi. Fa un male cane. La gente non capisce. Le persone si comportano come se me lo stessi inventando. Credo che mio padre pensi che non è disturbo reale, che sia un modo che ho escogitato per non andare a lavorare tutti i giorni.”

 

 

 

            Nel corso delle successive cinque o sei sedute, lo ascoltai con attenzione mentre intesseva il suo racconto di sofferenza e insoddisfazione. Era un giovane infelice. La sua vita non era stata altro che un continuo susseguirsi di sofferenze. Descrisse la sua famiglia come un gruppo di persone costrette a condividere la stessa gabbia. Sua sorella lo disprezzava.  Sua madre era fredda, dominante, e criticava costantemente i suoi tentativi di creare armonia in casa. Suo padre lo sosteneva, ma senza costanza, senza aiutarlo nella sua quotidiana battaglia per la sopravvivenza con sua madre. Nell’insieme, perlomeno dal suo punto di vista, non erano in grado né di comprenderlo, né di apprezzarlo. A causa di questo, aveva trascorso gran parte dell’infanzia da solo, guardando fuori dalla finestra e detestando la scuola. Da bambino, era incline alle fantasie e sovente si immaginava nell’atto di compiere gesti di grande eroismo.

 

            Si ammalava facilmente e si sentiva un fuori casta ovunque andasse. Sognava il giorno in cui qualcuno di importante lo sollevasse dalla sua miseria, riconoscendolo e conducendolo al suo vero ruolo di principe del reame, il ragazzo perduto che in realtà era il figlio del re.

 

            Maturando, aveva intrecciato un bel numero di relazioni con donne, di recente diverse con donne più grande di lui, interessate alla guarigione e alla spiritualità “New Age”. Aveva avuto un bel po’ di esperienze sessuali, ma tutte le sue relazioni avevano avuto vita breve, pochi mesi al massimo.

 

           

 

“Sembra sempre che, dopo essere riuscito a creare queste intense, magiche relazioni con le persone, uomini e donne, ma principalmente donne, queste a un certo punto vengano attirate da altri e io vengo abbandonato. Io tendo a diventare ossessivo con le persone con le quali mi coinvolgo. E sono sempre quello che rimane solo quando le cose prendono la loro inevitabile direzione. Ho anche un grosso problema con l’eiaculazione precoce. In questo, le donne più grandi mi sono di aiuto. Sono pazienti. Mi aiutano a rilassarmi e questo migliora la situazione. Acquisisco maggiore controllo. Non ho mai avuta rapporti sessuali con un uomo. Le donne fanno al caso mio, però non hanno mai voglia di stare con me a lungo. A volte divento irritabile e anch’io non  voglio avere nessuno attorno.”

 

 

 

            Io ascoltavo con attenzione tutto quello che mi raccontava, interloquendo spesso con frasi che dimostravano che capivo quello che mi diceva. Volevo che fosse sicuro che lo stavo a sentire. Mentre parlavamo, mi guardava dritto negli occhi e sembrava vigile e rilassato. Si relazionava con calore e sorrideva di frequente.

 

            “Ho l’impressione che lei sia davvero molto frustrato a causa delle sue relazioni, a tal punto così che ogni volta che si avvicina a qualcuno, specie a una donna, sperimenta del dolore, vuoi perché loro finiscono per abbandonarla, vuoi perché è lei a non volerle attorno.”

 

           

 

“Esatto. La mia storia in fatto di intimità, specialmente quando c’è di mezzo il sesso, è piuttosto desolante. E so che, quando sono infelice e frustrato, il dolore alla coscia e all’inguine si accentua.” 

 

 

 

            Ogni volta che terminava di offrirmi qualche informazione, andava in cerca dei miei occhi in cerca di comprensione. Ascoltando con attenzione e rimandandogli indietro quello che lui mi diceva, incoraggiavo una chiara comunicazione tra di noi. Dopo tre o quattro sedute dedicate esclusivamente a questo tipo di comunicazione, lui cominciò ad avere fiducia del lavoro che stavamo facendo. A volte, mi telefonava allo studio per chiarire qualcosa che io avevo gli avevo detto il giorno prima, oppure per lamentarsi che si sentiva ansioso e depresso. Per lo più, però, voleva essere rassicurato, sapere che ero ancora lì. Io ricevevo le sue telefonate con molta disponibilità. Sapevo che la fiducia sarebbe stata la questione fondamentale del rapporto terapeutico con lui, come del resto accade in tutti i casi.

 

            Nell’arco di una decina di ore di sedute, David aveva parlato a lungo della sua vita, dei suoi problemi di relazione, delle umiliazioni che aveva subito a scuola dai compagni prepotenti, del dolore alla coscia, all’inguine e alla parte bassa della schiena, della sua attuale relazione con una donna di vent’anni più vecchia di lui. Poi mi confidò una memoria della prima infanzia, affiorata all’improvviso mentre si faceva un clistere a base d’olio, che un libro sulla salute e la coscienza raccomandava per la “purificazione spirituale”.

 

           

 

“Avevo deciso di fare il clistere perché durante le mie meditazioni accusavi dei disturbi intestinali ed era un po’ che non mangiavo bene. Tutto d’un tratto, dal nulla, spuntarono delle memorie visive, molto vivide, di quando a cinque anni ero stato in campeggio e il capogruppo, che doveva avere circa diciannove anni, mi aveva portato via assieme a un altro ragazzino per farci dormire con lui in un sacco a pelo doppio. Ricordo che c’era un altro ragazzino, ma credo di essere stato l’unico a dormire nel sacco a pelo. Ero terrorizzato, perché all’epoca bagnavo ancora il letto e temevo di poterlo fare nel suo sacco a pelo. Rammento lui che univa i due sacco a pelo dicendo che stava per accadere qualcosa di molto segreto che mi sarebbe piaciuto. Credo di ricordare che mi sia stato fatto del male. Sono quasi sicuro che lui mi abbia penetrato e sono “flippato”. Se mi sforzo di ricordare di più, incontro solo confusione e paura. Però so che questa faccenda ha molto a che vedere con le mie paure, con il mio non sentirmi mai reale nel mondo. Solo a pensarci, comincio a tremare. Credo di aver cercato di dirlo ai miei genitori, ma nessuno mi ascoltava. Non so. Forse qualcosa si è separato dentro la mia mente. Adesso mi sento veramente un disastro. Ho bisogno di aiuto.”

 

 

 

            Il suo mento aveva cominciato a tremare e le sue spalle erano scosse dai singulti mentre sedeva lì, incavato su se stesso, improvvisamente piccolo e infantile, perso sui cuscini del divano. “Piangere va bene, sai” dissi io. Il sole rischiarava il suo viso e lo spazio che ci circondava quando, seduto di fronte a lui, vidi le prime lacrime apparire nei suoi occhi spaventati. Scoppiò a piangere, apertamente e liberamente, e sembrò che il mio comodo, soleggiato giardino-studio volesse offrirgli un rifugio sicuro nel quale essere vulnerabili e sinceri. Rammento di aver provato gratitudine per la relazione sacra nella quale eravamo entrati e per il meraviglioso calore del posto che ci permetteva di sedere assieme mentre il viaggio di guarigione si svelava davanti ai nostri occhi.

 

 

 

*

 

 

 

            Ho parlato e mi sono consultato con diversi colleghi, i quali, al pari di me, hanno registrato un notevole aumento del numero di pazienti che si rivolgevano a loro per problemi legati a storie di incesto e abuso sessuale. Siamo tutti concordi nel ritenere che a volte i racconti siano così oltraggiosamente bizzarri e crudeli (come nei molti casi di abusi sui bambini in rituali satanici) da sembrare più il prodotto di fantasie immaginative che non vera storie emozionali. In questi casi, non abbiamo modo di appurare se tali racconti siamo vere memorie, oppure frammenti di immagini inconsce scambiate per vere memorie. Tuttavia, in entrambe le ipotesi, i clienti ci raccontano storie talmente connesse e congrue al loro vissuto emozionale e psicologico che la loro veridicità appare indiscutibile.

 

            Io ho scelto di presumere che le storie che ascolto siano in qualche modo significative per le vite dei miei clienti, sia che le memorie siano reali, sia nel caso opposto. Attribuisco pieno credito a tutte le memorie recuperate di abusi per gli scopi della terapia. Non sono in grado di stabilire se ogni singolo ricordo sia vero. Di conseguenza, insisto nello spiegare ai miei clienti che dobbiamo lavorare con i loro ricordi e gli effetti che questi hanno sulle loro vite, senza acconsentire al bisogno di conseguire un’immediata riparazione nel mondo fisico e senza ricorrere al sistema legale per ottenere una punizione soddisfacente dei loro molestatori. Chiedo ai miei clienti di svolgere il loro lavoro psicologico con me e non con il resto del mondo, finché entrambi non riteniamo che tale lavoro sia giunto a termine.

 

            Ammetto di aver provato un subitaneo interesse per la storia di David non soltanto per via della sua irresistibile presenza, ma anche perché in questo periodo migliaia di persone dichiarano di essere state violate sessualmente nel corso della prima infanzia. I motivi per i quali tale fenomeno sia così presente nella nostra coscienza sociale in questa  particolare epoca storica rimangono un mistero per me. I miei colleghi, che lavorano con metodi somatici e i cui scritti appaiano in questo libro, parlano sovente di tale tendenza durante i nostri incontri periodici. Le memorie affiorano nella coscienza spontaneamente, oppure in qualche genere di setting terapeutico e attualmente è in corso un grande dibattito circa la maggiore o minore attendibilità di tali memorie. I tribunali e il sistema legale sono diventati  un’importante arena per molte persone in cerca di riparazione e di riconoscimento per le loro sofferenze. I media hanno scoperto che queste vicende costituiscono un ottimo materiale per ottenere l’attenzione del pubblico. Le storie di abusi sessuali vendono bene.

 

            La consapevolezza del pubblico sugli abusi sessuali e fisici avvenuti nelle vite di un allarmante numero di bambini, e le sempre più frequenti accuse di molestie sessuali rivolta dalle donne agli uomini, segnalano un positivo risveglio culturale sulla necessità di proteggere i diritti dell’individuo, il che è senza dubbio importante. Tuttavia, gli abusi in tanto tali sono il risultato di una paura endemica dell’affetto genuino, dell’intimità dei cuori, che è presente ovunque nella nostra società. Abbiamo paura di prenderci apertamente cura gli uni degli altri. Semplicemente toccare qualcuno in riconoscimento della propria condivisa umanità può essere interprato come un tentativo di seduzione. Siamo una società violenta, dominata dalla paura, permeata dall’omicidio e dalla violenza fisica,  nella quale la più piccola provocazione o anche solo un’occhiata mal interpretata possono scatenare una rabbiosa reazione verbale. Abbiamo paura di toccarci l’un l’altro col cuore aperto. Ma,  di solito, a divenire dei molestatori sono proprio quelli tra di noi che non sono stati toccati, i non amati e gli abbandonati.  Coloro che non sono mai stati toccati con amore, coloro che non sono mai stati rassicurati circa il proprio valore dalle persone che dovevano prendersi cura di loro, sono i criminali tra le nostre fila. E la situazione continua a peggiorare. Perfino coloro che si prendono cura dei malati per professione, il cui lavoro consiste nel “riparare” i danneggiati e i feriti, hanno spesso paura di toccare i destinatari delle loro tecniche di guarigione. Qualunque genere di tocco è aperto al sospetto e alla possibilità di una denuncia. Lo stesso gesto la cui assenza è causa del problema è divenuto professionalmente pericoloso per i terapisti che si dedicano alla guarigione delle ferite provocate dalla privazione del tocco.

 

 

 

*

 

 

 

            David e io ci incontravamo una o due volte la settimana, a volte per diverse ore, in uno studio soleggiato, con ampie vetrate affacciate sull’immensità dell’Oceano e con le finestre della parete meridionale che si aprivano su  un giardino lussureggiante. Essere in grado di guardare una sinfonia di azalee rosse mentre rivivevamo dolorosi traumi passati aiutava a conservare un minimo di sanità all’interno del processo di guarigione. A volte, sedevamo uno di fronte all’altro e parlavamo, sempre consapevoli dell’immediatezza del contatto umano, delle richieste che le necessità di una conversazione intima ponevano alla nostra capacità di essere consapevoli del momento presente. A volte, quando le parole non riuscivano più a scavare nel passato, quando, per un motivo o per l’altro, la disponibilità a sperimentare emozioni dolorose veniva a mancare, passavamo a un metodo di lavoro più orientato sul corpo, nel quale il cliente si sdraia sul mio tavolo da massaggio (con il suo antiquato sistema di sollevamento idraulico ricavato dalla poltrona di un dentista) e io faccio ricorso ai miei anni di training nelle arti del body-work profondo e di antiche tecniche terapeutiche per accentuare la consapevolezza attraverso il tocco e il movimento.

 

            L’obbiettivo è sempre quello di espandere la consapevolezza. La nostra unica preoccupazione è la terapia, la guarigione della psiche, piuttosto che il desiderio di esporre e punire il criminale. Tale accordo è necessario perché mi permette di mantenere integro il contenitore della relazione terapeutica e io credo che sia l’approccio migliore anche per i clienti. Finora ha funzionato.

 

 

 

*

 

 

 

            Ci furono alcune ulteriori sedute durante le quali ci occupammo principalmente dell’ansia di David e della reazione claustrofobica che aveva quando si trovava in compagnia della maggioranza delle persone. La memoria recuperata dell’esperienza al campeggio aveva spalancato le porte a una marea di paure e insicurezze. Lui descriveva momenti nei quali si sentiva come una farfalla prigioniera di una ragnatela di emozioni opprimenti. Stava facendo la spesa al negozio all’angolo quando tutto a un tratto il dolore si abbatteva su di lui con la rapidità di un temporale estivo ed era costretto a correre a casa per restare solo e piangere per il ragazzino che era stato privato dell’innocenza da un estraneo. Oppure, mentre chiacchierava con un amico, grandi ondate di paura invadevano il suo cuore senza preavviso o ragione, e allora si scusava, abbandonando l’amico perplesso per rifugiarsi nella sicurezza del suo appartamento.

 

            Aveva bisogno di una presenza stabile dalla quale dipendere e io ero certamente disponibile a esserlo per lui. Durante le sedute, cercavo soprattutto di creare un rapporto di fiducia, perché c’è sempre una profonda sfiducia nei confronti del prossimo (più del normale) nel mondo emozionale delle vittime di abusi sessuali. Lo rassicurai spiegandogli che le tempeste emotive facevano parte del processo di rivelamento delle profonde ferite del passato, vecchie emozioni represse che esplodevano nel presente. Spesso, gli rammentavo che sentire profondamente anche le emozioni più sgradevoli era parte del vivere una vita sana. Lui mi disse che a volte la rabbia, le esplosioni di furia rivolte al suo molestatore erano talmente violente che non riusciva a tollerare la presenza di altre persone. Ero l’unico al quale avesse parlato della sua situazione. Per me era facile essere disponibile per David. Aveva bisogno di un mentore, di un padre surrogato, di un amico maturo, di qualcuno in grado di rimanere saldo in mezzo alle tempeste emotive che continuavano a sorgere. E io sapevo che ne sarebbero venute ancora molte.

 

            Come ho avuto modo di apprendere lavorando per ormai più di un quarto di secolo di carriera su situazioni terapeutiche legate a traumi passati, avremmo potuto andare avanti a parlare fin che volevamo e a periodi lui avrebbe anche potuto sentirsi meglio, ma non ci sarebbe stata alcuna guarigione duratura fintanto che David non avesse ristabilito una connessione spontanea e cosciente con il corpo nella sua interezza, in particolare con l’area pelvica, l’inguine, i genitali e l’ano.

 

 

 

*

 

 

 

            Sono rimasto spesso affascinato dall’efficacia con la quale la mente riesce a difendersi dall’orrore devastante causato da intollerabili traumi fisici o emotivi, particolarmente nei bambini, la cui fragile psiche non ha ancora la forza di reggere grandi dolori. Quando il destino ci presenta delle esperienze troppo sconvolgenti da gestire e comprendere per la mente, la natura fornisce una soluzione. Quello che accade è un po’ come cambiare canale sulla TV. La mente cosciente si rifiuta semplicemente di registrare quello che sta succedendo e l’intero evento, incluse le emozioni ad esso associate, viene accantonato nella psiche, in una specie di magazzino delle memorie inconsce. Questo significa che l’esperienza fisica delle sensazioni connesse all’evento traumatico vengono relegate nell’inconscio, a debita distanza dalla consapevolezza immediata, separando così il soggetto dalle sue emozioni e dai suoi sentimenti. Quando vengono richiamate, tali memorie possono apparire come esperienze reali che hanno luogo nel presente, come se il dolore passato venisse scaricato nel presente per poter essere completamente e finalmente compreso da una persona che, crescendo, è diventata abbastanza forte da poter gestire quello che all’epoca dell’evento traumatico non era stato in grado di digerire. Finché la memoria non viene richiamata e rivissuta nel tempo presente, le parti del corpo coinvolte nel trauma passato resteranno meno vitali: sia pure parzialmente, la persona continua a vivere nel passato. E’ come se la nostra capacità  di sperimentare sensazioni, tipica di un corpo vivente, sia limitata anche dalla quantità di memorie nascoste. L’insensibilità del corpo fisico si manifesta con una contrazione dei tessuti connettivi e dei muscoli. A volte, tale contrazione può essere talmente sottile che alla lunga uno finisce per assimilarla alla sua condizione normale.

 

 

 

*

 

 

 

Nel caso di David, la contrazione nell’inguine e nell’area pelvica era diventata un segnale d’allarme, che gli indicava che c’era qualcosa di profondamente sbagliato. Il dolore gli diceva che non era al sicuro, che i pericoli del passato continuavano a vivere nel presente. Prima che potesse insorgere un senso di benessere e di pienezza, avrebbe dovuto sperimentare le sensazioni connesse all’inguine come sicure, se non subito come piacevoli.Io volevo reintrodurlo alla parte del suo mondo interiore dalla quale era fuggito molti anni prima, quando era stato invaso da un altro che non aveva avuto nessuna cura, né tanto meno rispetto, del suo piccolo sé di ragazzo. Ero ragionevolmente convinto del fatto che, se tale incontro si fosse concluso positivamente, David avrebbe avuto la possibilità di risorgere a nuova vita. Decisi di usare il tocco, non sessuale ma intimo, come metodo per portare la sua attenzione sui segreti seppelliti nelle profondità della sua carne.

 

            Ebbi alcune conversazioni con me stesso che assomigliavano molto a questa:

 

 

 

“D’accordo, Robert, hai intenzione di fare questa cosa, ma sei pronto a fare fronte a tutta la paura, la rabbia e le proiezioni che salteranno fuori? A un certo punto, David avrà l’impressione che tu sia il molestatore. Pensi David sia in grado di reggere un approccio così diretto? E’ abbastanza forte? E tu, hai la chiarezza di cui c’è bisogno per rimanere un partecipante amorevole, ma distaccato di questo dramma? Una mossa sbagliate e perderai la sua fiducia, e se perdi la sua fiducia, David potrebbe non avere altre speranze di guarire e condurre una vita sana. Potresti spaventarlo così tanto che poi non avrà più coraggio di curare quella ferita. E’ meglio che tu sappia bene quello che ti accingi a fare. Soprattutto, sei pronto a impegnarti in questa relazione? Non è concessa alcuna ambivalenza! Pensaci, Robert!”

 

 

 

            Avevo paura. Una relazione terapeutica è per sua stessa natura profondamente intima. Quando va male, entrambi i partecipanti ne soffrono terribilmente. I terapisti non sono immuni dall’essere vulnerabili. Anzi, il lavoro non funziona a meno che il cuore del terapista non sia aperto come quello del paziente. Parlai un altro po’ con me stesso.

 

 

 

“Dannazione! Eccomi di nuovo qua. Queste faccende sono sempre così intense. Perché non lascio la professione e mi trovo un bel lavoro tranquillo? Potrei fare il giardiniere. Avrei potuto continuare a praticare la chirurgia. Perfino quella è più sicura. E poi si guadagna molto meglio!”

 

 

 

            Sapevo che le tempeste emozionali che sarebbero inevitabilmente insorte avrebbero minacciato la mia capacità di rimanere distaccato e saldo, ma sapevo anche che ormai avevo comprato il biglietto per l’intero viaggio, indipendentemente da quello che succedeva. Avevo detto sì  e il dado era tratto. Dopo la paura, cominciai a sentire a sperimentare l’eccitazione e il fascino che sempre si manifestano quando ho l’opportunità di prendere parte a un vero percorso di guarigione... mio o di qualche cliente.

 

            Il modo di lavorare con i sopravvissuti di abusi sessuali o fisici che abbiamo sviluppato all’interno della Lomi School è per certi versi diverso da quelli in uso nelle psicoterapie convenzionali. Sebbene controversi, i nostri metodi si fondano su una lunga esperienza combinata a solide basi teoriche di medicina, psichiatria e studi anatomici, ma anche a tradizioni antiche come lo hatha yoga, la meditazione Vipassana e l’acupressione (pressione delle dita, applicata sugli stessi punti dell’agopuntura). Anche le mie esperienze di psicoanalisi, danza e teatro si sono rivelate utili. Ho studiato l’uso del tocco di guarigione con ben noti guaritori dallo straordinario talento, capaci di creare sistemi di cura come la Polarity Therapy, il Rolfing e la terapia Gestalt.

 

 

 

*

 

 

 

            Iniziai il lavoro sul corpo con David dopo dieci sedute verbali dedicate alla costruzione del rapporto. Lui si sdraiò sulla schiena, completamente vestito, sul mio tavolo da body-work. Cominciai a toccargli il torace e le spalle, incoraggiandolo a respirare a fondo, a rilassare i pettorali contratti. Applicai una pressione decisa ma non invasiva nell’area appena sotto le clavicole con i pollici. Tenni fermamente premuti i palmi delle mani sulla parte superiore del torace. Lui sorrise e chiuse gli occhi. Io stimolai i punti di pressione in cima a entrambe le spalle con i pollici, lavorando con attenzione e lentamente, applicando giusto la pressione sufficiente per rilasciare le tensioni lì trattenute.1 Lui si rilassò. Tenni con cura la sua testa tra le mani, reggendone il peso con i palmi nella zona sotto l’occipite. Lui mi guardò negli occhi e girò i palmi delle mani verso l’alto.

 

            Non avevo idee circa quello che sarei andato a fare, dove toccare, o se quella era la scelta giusta. Decisi di fidarmi della mia intuizione e dell’intenzione di essere presente assieme a lui senza aspettative, né su di lui, né su me stesso. Soltanto toccare. Un toccare altamente specializzato e sperimentato, in grado di creare una sensazione di sicurezza e fiducia. Soltanto prestare attenzione. Soltanto consapevolezza e sensazioni corporee. A volte, richiamavo la sua attenzione sul nostro essere lì assieme variando la qualità del mio toccare dalla ferma pressione  al contatto gentile e rassicurante. A volte gli parlavo. “Cosa sta succedendo? Senti questo? Senti il calore sotto la mia mano sopra al tuo cuore? Senti questo tocco sull’addome? Respira nella pancia sotto la mia mano. Resta qui! Vieni nella parte bassa della schiena, qui, dove senti questo. Se premo troppo forte o ti tocco da qualche parte che non va bene, devi dirmelo, OK? Resta qui con me.”

 

            Questo tipo di lavoro si prolungò per cinque sedute. Io dedicai la mia attenzione ad aiutare David ad abituarsi a essere toccato, rintracciando con cura le sue sensazioni, sviluppando consapevolezza sui sottili movimenti della vita nel suo corpo.

 

            Vi furono momenti nei quali il mio tocco sollecitò intense ondate di ansia durante la seduta e dopo.

 

 

 

“Quando mi tocchi la coscia destra, mi sento come se stessi per spezzarmi in due. Riesco a malapena a respirare. Dopo la seduta della settimana scorsa, ho pianto per ore e non sopportavo di avere attorno Mary, la mia compagna. Il mio inguine si contraeva spasmodicamente ogni volta che sentivo la sua voce. Mi sembrava di essere un caso senza speranza! Sei sicuro che questa sia la cosa giusta per me? Mi sta aiutando? Mi sento uno schifo!”

 

 

 

            David viveva con una donna che aveva ventiquattro anni più di lui. Stava cominciando a incontrare delle difficoltà nel contatto ravvicinato con lei, perché il nostro lavoro gli creava una certa labilità emotiva che lo portava a rispondere in modo irragionevole e imprevedibile alla sua presenza. Lui non aveva ancora un lavoro stabile e i due trascorrevano molto tempo assieme. David cominciò a sentire che la sua vita assomigliava sempre di più a una lotta. Di frequente, diveniva irritabile. Una volta mi raccontò com’erano per lui le sedute.

 

 

 

“Vengo fino a qui, quaranta miglia in macchina, e mentre aspetto il mio turno sono nervoso. Non riesco a pensare chiaramente e tendo a preoccuparmi, pensando che la seduta di oggi sarà troppo per me, che non riuscirò a gestire tutti questi sentimenti. E’ davvero tanto, sai. Poi cominciamo a parlare, la tua voce mi calma e a me piace raccontarti della settimana che ho passato, di quello che sta capitando nella mia vita, anche quando non sono buone notizie. A volte temo che ti stuferai di ascoltare le mie lamentele. Poi mi sdraio sul tavolo. C’è sempre questo periodo iniziale di paura. Il flusso di energia quando capisco che sta per succedere qualcosa.”

 

 

 

            Per diverse settimane abbiamo lavorato con David nudo. Fu lui a proporlo quando si rese conto di voler rimuovere la barriera che i vestiti costituivano tra la sua pelle e il mio tocco. Io acconsentii dopo essermi assicurato che lui fosse davvero a proprio agio con la cosa e non si stesse mettendo in una posizione di vulnerabilità maggiore di quella che era in grado di gestire. Sdraiarsi sul tavolo da body-work nudo, anche se coperto da un lenzuolo, equivale a mettersi in una posizione di estrema vulnerabilità anche per chi non ha una storia di traumi sessuali.

 

            Riflettei a fondo e mi convinsi che aveva ragione. A quel punto della nostra relazione, rifiutarsi di lavorare con la sua nudità sarebbe stato più traumatico di qualunque problema io potessi  immaginare sarebbe insorto aggiungendo quell’ulteriore elemento.

 

 

 

“E’ stato importante che io mi sia spogliato durante le ultime sessioni. Quando sono nudo sul tavolo, mi sento ancora più vulnerabile, più proiettato nell’esperienza. E’ importante per me non avere vestiti addosso e sentire che sono in grado di gestire questa cosa. A volte, provo il bisogno di coprirmi, mi fa sentire più sicuro. Dipende tutto da come sto emotivamente.”   

 

Lui proseguì:

 

“C’è il tocco sul torace e mi sento bene. Sento che posso espandermi e smettere di essere protettivo. Il mio cuore si rilassa. Sento la tua presenza. So che non mi farai male, che vuoi che io diventi sano e forte. Poi sento che tu mi muovi le gambe in modo da far rilassare i fianchi. Posso sentire il mio trattenere. In questo è presente la paura. Non voglio essere controllato da nessuno. Viene la rabbia. Rovente, nella pancia e sulla faccia. Mi viene voglia di gridare. Ho voglia di gridarti di lasciarmi in pace! Allontanati da me! Vattene via!”

 

 

 

            David iniziò a muoversi disordinatamente sul tavolo. Raccolse le gambe sul petto, poi le distese e si allungò più che poteva. Io notai che cominciava a sudare, la sua fronte si imperlò. D’istinto, posai entrambi le mani sul suo addome, attorno all’ombelico e iniziai un lento movimento rotatorio in senso orario. Lui fece cenno di sì con la testa, chiuse gli occhi e si concentrò mentre il mio tocco, piccoli movimenti laterali adesso, attirava la sua attenzione sulle sensazioni vibratorie nella parte inferiore dell’addome.

 

           

 

“C’è una specie di vibrazione elettrizzante in ogni parte del mio corpo, come se tu mi stessi toccando dappertutto. Mi piace persino il disagio che provo quando spingi sui punti di pressione. Mi fa sentire vivo e presente.”

 

 

 

            All’improvviso, si tese. I suoi addominali si contrassero e io avvertii dei piccoli, sottili movimenti della pelle e dei tessuti sottocutanei, diretti verso il basso, in entrambe le aree dell’inguine. Lui riprese a parlare:

 

 

 

“Le sensazioni del tocco si spostano sul fianco destro. Mi contraggo. E’ il vecchio dolore che torna. So che non sei tu a causarlo e so di non poterlo controllare. Semplicemente, il dolore accade.”

 

 

 

Cominciò a fare delle smorfie e voltò la testa verso la finestra aperta. Una leggera brezza portava nella stanza da lavoro l’odore delle piante. Poi si agitò e mosse la testa da una parte all’altra, come per schivare un colpo. Io mi dissi: “Calma adesso. Sii presente e basta. Testimonia.” Notai la sua erezione e un improvviso, totale rilassamento del corpo nel momento in cui lui parve arrendersi all’esperienza. Per qualche momento, rimase in silenzio, ma la pelle nella parte inferiore del suo addome vibrava visibilmente. Io pensai: “Buon segno, adesso bisogna procedere molto lentamente.” Tirai via le mani, mi misi da parte e osservai.

 

 

 

“Mio Dio! Comincio a sentirmi eccitato. Prima d’ora non avevo mai provato questa gentile sensazione di calore nell’inguine.Non c’è alcuna pressione collegata ad essa. Mi sento rilassato e un tantino erotico. Sento la mia erezione e comincio a essere davvero in imbarazzo. Cosa farai? Cosa penserai? Mi sento così impotente, sdraiato qui con l’uccello duro. Va bene che succeda? Deve essere così, perché è questo che sta accadendo. Mi dico che la cosa non ti preoccupa, che tu sei a tuo agio con la situazione, che io posso essere così. L’atteggiamento rilassato, da “non c’è problema”, che hai nei confronti della mia sessualità è proprio quello di cui ho bisogno. Posso rilassarmi e gustare il mio sesso. Forse per la prima volta. Posso sentire la paura che se ne va e una sorta di quieta sensualità che prende il suo posto. Bene. Non devo proteggermi, non devo fare nulla. Mi sento così pieno. Il mio intero corpo è vivo e avverto una sensazione di calore al volto. Mi sembra di poter sentire ogni muscolo, ogni singola cellula.”

 

 

 

*

 

            C’è una grande confusione che circonda la relazione terapista-cliente a proposito del toccare e del riconoscere l’intimità della relazione terapeutica. A causa del clima dei tempi, in particolare della paura e dell’ignoranza del corpo che sono endemiche all’interno della comunità terapeutica, voglio esplicitare i principi sui quali si è basato il mio lavoro con David.

 

1.     La sessualità non era l’obbiettivo della relazione descritta in queste pagine. Il contesto e l’obbiettivo sono sempre stati aiutare David a riacquistare naturalezza e fiducia nei confronti del suo corpo.

 

2.     La mia intenzione, in quanto sua terapista, era di essere sempre disponibile come catalizzatore e sostegno di questo processo, mentre il giovane lottava coraggiosamente per trovare un senso di presenza che includesse perfino le parti più terrificanti e alienate del suo corpo.

 

3.     Sebbene David abbia apertamente ammesso sentimenti sensuali ed erotici, essi non erano rivolti a nessuno in particolare. Venivano da lui accettati e profondamente sperimentati come un modo di superare un trauma sessuale infantile. Riusciva a trovare sicurezza e fiducia soltanto facendo amicizia con il senso di tradimento, indignazione e paura associato con le sottili sensazioni che si manifestano nell’aria pelvica. Lottava nel tentativo di espandere la sua consapevolezza anche di fronte a emozioni spaventose associate con il passato.

 

4.     I genitali non sono mai stati toccati. Né si è mai verificato alcun tocco, da terapista a cliente, inteso a suscitare eccitazione nei genitali. C’è stato sempre l’incoraggiamento a sentire profondamente, dando coraggiosamente spazio a qualsivoglia sensazione potesse insorgere nel corpo durante momenti di tocco e contatto.

 

 

 

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            Nella seduta successiva una settimana più tardi,  David riportò che la contrazione nell’area pelvica e inguinale era tornata con grande intensità per quasi l’intera settimana. Come spesso accade quando le sedute sono particolarmente profonde, il suo corpo aveva reagito con una forte compensazione che aveva  dato maggiore vigore a tutti i sintomi originari e lui si sentiva spaventato e depresso. Trascorreva buona parte delle sue giornate chiuso in camera. Aveva timore di relazionarsi con la gente anche nel più semplice dei modi. Fortunatamente, la sua amica Mary aveva potuto restargli accanto per ore e lo aveva incoraggiato a parlare di quello che sperimentava. Dolore all’inguine. Ansia. Depressione. Era come se il suo inconscio volesse dirci che non sarebbe stato così facile. Tutte le parti di cui era composto avevano bisogno di più tempo per abituarsi al rilassamento: il bambino di cinque anni, il ragazzo adolescente, l’adulto trentaduenne. Io rinnovai il mio impegno a non avere aspettative, a rimanere una solida presenza non condizionale. Il tempo passò con una serie di sedute che furono esattamente come lui le aveva descritte. A volte la muscolatura dell’area pelvica e della coscia rispondeva alla sua crescente capacità di concentrarsi sulle sensazioni che si manifestavano spontaneamente, lui si rilassava e c’erano nuove sensazioni erotiche. Occasionalmente, dedicavo l’intera seduta alla manipolazione profonda dei muscoli dei suoi fianchi, destro e sinistro, lavorando con applicazioni di pressione, massaggiando e sciogliendo i muscoli che reggevano le giunture dei fianchi. Certi giorni la sua coscia destra era morbida al tocco, certi altri lui mi chiedeva di applicare maggiore pressione, come se avesse bisogno di sentire un tocco più deciso. Le sue reazioni corporee erano per lo più imprevedibili. Tuttavia, notai che quando diceva di essere depresso, era anche molto riluttante a essere toccato. Lavorammo con costanza e concentrazione crescente. Io lo rassicurai più volte, spiegandogli che quello che stavamo facendo, questa indagine sulla sua vita somatica, era una cosa intelligente e valida.

 

            Una volta, quando lui pose seriamente in dubbio la sua volontà di proseguire la terapia, mi sentii rispondere come un allenatore: “Guarda, tu hai iniziato un viaggio allo scopo di riacquistare l’integrità della vita del tuo corpo, di riscoprire la tua sessualità, di vivere la pienezza del tuo cuore e dei tuoi sentimenti, non  come la specie di robot sociale che sei diventato. Un viaggio non è completo se lo si interrompe a metà. So che sei scoraggiato, ma dobbiamo andare avanti!”

 

            Io portavo la fede e mi occupavo del contenitore, accertandomi di continuo che fosse cosciente del fatto che la nostra relazione era un’arena sicura per i suoi incontri con la paura. Questo è il lavoro del terapista. In più di un’occasione, lui mi ringraziò. Esplorava tutte le emozioni che era in  grado di sperimentare... sempre guidato dalla mia voce, dalle mie mani e dal suo respiro. Portava il suo respiro nel terrore che gli eventi passati avevano conficcato nella sua carne, nei tessuti connettivi, nei muscoli. Portava la sua benefica attenzione sul desiderio che viveva nella sua pelle e sotto la superficie della sua coscienza.

 

            Poi la diga si ruppe. David entrò nel mio studio una sera d’inverno. Era stata una giornata grigia e piovosa. Il tramonto era a malapena visibile dietro a una fila di alberi in distanza. La sua bocca era una stretta linea di rifiuto. Evitava il contatto degli occhi.

 

 

 

“Sono furibondo. Odio tutti. Perfino te. Me ne sono andato in giro per l’intera giornata odiando tutto della mia vita. Non ho più voglia di andare avanti così. Preferirei essere morto!”

 

 

 

            Anche se l’aveva detto rapidamente e in tono casuale, la mia intuizione colse al volo il significato di quel riferimento alla morte. Decisi di incalzarlo sull’argomento, prendendo su due piedi la decisione tattica di farlo in un confronto diretto. “Stai pensando di suicidarti?”

 

           

 

            “Sì, certo. Te l’ho appena detto. Sono soltanto pensieri, però.”

 

 

 

            Fece un gesto spazientito con entrambe le mani.

 

            Io insistetti, abbandonando ogni cautela. “Come hai immaginato di farlo? Con i barbiturici? Con il monossido di carbonio? Saltando nel vuoto?” Volevo farlo parlare dettagliatamente delle fantasie che aveva avuto. Più parole, meno azione, pensai.

 

           

 

“Non mi sono mai spinto fino a quel punto. Comunque, coi barbiturici, penso. Però il punto non è questo. Il punto è che sono disperato. Mi detesto. Non sono mai felice.”

 

 

 

            Con la mia peggiore voce di medico allenato a essere premuroso, dissi: “Perché non ti sdrai sul tavolo? Esploreremo la tua infelicità.” Una frazione di secondo dopo, pensai: “Oh, dannazione, questa è la cosa più stupida che potessi dire... il grande terapista all’opera!” Volevo toccarlo, creare un qualche tipo di connessione diretta, ma temevo di aver rovinato tutto.

 

            Lui esplose:

 

 

 

“Oh, fantastico! Adesso devo anche esplorarla. Cha vada a farsi fottere! Questa storia non finisce mai, la paura, il disprezzo di me stesso, senza mai poter tirare il fiato un momento, senza mai sentirmi a posto. Che vada a farsi fottere! E fottiti anche tu! Sai cosa vuole dire odiare di essere toccati, avere paura ogni volta che qualcuno ti guarda negli occhi? Sono sempre disperato. Non credo che in questo mondo ci sia vero amore e voglio andarmene da qui!”

 

 

 

            Poi, qualche istante dopo, arrivarono le lacrime e:

 

           

 

“Scusa. So che stai cercando di aiutare. D’accordo, ma oggi mi tengo i vestiti. E non farmi male, OK?”

 

 

 

            Si arrampicò sul tavolo con molti gemiti e sospiri. Voltò la testa verso la finestra aperta e spinse la sua attenzione sul giardino, come un uccello in gabbia. Io sentii lo spazio attorno stretto e compresso come il suo corpo. Pensieri di dubbio e scoraggiamento riempirono anche la mia mente. “Sono in grado di farlo? Dove stiamo andando?”

 

            Le mie mani iniziarono a muoversi sul suo corpo riluttante. Lavoravamo in silenzio. Il suo torace era caldo. L’area epigastrica, sopra l’ombelico, era priva della presenza radiante segnalata da piccole onde di movimento e dal colorito sano della pelle ben tonificata. Per quelli di noi allenati a prestare attenzione a questi particolari dopo anni di pratica,  sono segnali che indicano che la mente incosciente del soggetto si è ritirata e si rifiuta di sentire: il potere, la forza vitale, viene trattenuta in uno stato di contratta immobilità. Il respiro era quasi assente. Mossi i palmi delle mani in senso circolare. Lui sospirò. In piedi alla sua sinistra, afferrai entrambe le sue ossa iliache e scossi la sua intera zona pelvica avanti e indietro, a lungo, restando in ascolto del movimento della vita dei sensi, del naturale calore dei sistemi viventi. Gli circondai il collo con le mani. Lavorammo in silenzio per una trentina di minuti, io conducevo, portando gradualmente la sua attenzione sulla dinamica della vita che scorreva nel suo corpo. Lui cominciò a tremare. Prima la bocca e la mascella, poi ondate di vibrazioni si propagarono lungo la pancia, attraverso il perineo, dove per così tanti anni la paura aveva mantenuto i tessuti immobili e contratti. Lui cominciò a scuotersi. Ogni arto tremava. Mani, piedi, perfino i muscoli attorno agli occhi e nella parte superiore della mascella. Il respiro era rapido e profondo. La fronte si imperlò di sudore. 

 

            Scoppiò in singhiozzi. Ansiti profondi sgorgarono dal suo torace. 

 

 

 

“Mi dispiace! Mi dispiace così tanto! Ho sempre voluto essere amato. Ho tanto bisogno di amore. Sono così infelice! Mi dispiace. Non lascio mai che accada per me. Ho sempre paura! Oh, Signore! Ti prego, Signore! Lascia che io sia! Aiutami! Mi dispiace.”

 

 

 

            Si acciambellò in posizione fetale e pianse per quello che mi sembrò molto tempo. Io sedevo al suo fianco sul bordo del tavolo. Lo tenevo tra le braccia come una madre tiene il suo bambino quando sta male, lo cullavo e gli parlavo con dolcezza. “Adesso stai bene. Qui sei al sicuro. Va bene sentire queste cose. Questo è il tuo dolore. E’ il tuo dolore. Puoi averlo. Stai bene.”

 

            La mia mente era vuota, il mio cuore colmo di una grande pace. L’intera stanza, con noi immobili nella nostra postura di comunicazione, sembrò innalzarsi e fluttuare in una dimensione senza tempo. Il mondo intero era in silenzio. Poi dal giardino arrivò il canto solitario di un uccello e nell’udire una simile chiarezza ridemmo entrambi. Dopo aver riposato, lui aveva l’aria di uno che era appena entrato in una stanza calda mentre fuori infuriava la tempesta.

 

            Io sciolsi il mio abbraccio, mi tirai indietro e gli chiesi di raccontarmi la sua esperienza. Lui si allungò sulla schiena e chiuse gli occhi.

 

 

 

“C’è una specie di vibrazione costante” mormorò. “Emette un suono che è particolarmente forte nella mia testa. Io osservo. Sentendo l’energia, sono in grado di osservarla. Le mie mani sono vive di questa roba. Dove so che sono situate le mie gambe c’è un rigonfiamento. Nel mezzo. In qualche modo so che là c’è paura, ma sono interessato. Voglio guardarci dentro. Entrarci dentro. Lasciarmi mescolare. Quello di cui ho bisogno è là.” Lunghe pause.

 

 

 

            Io mi sentivo rilassato e soddisfatto. Sapevo che questo era il frutto del nostro lungo lavoro comune. “Riesci a stare con questa cosa, a cavalcare la cresta di questa consapevolezza?”

 

 

 

            “Sì, sì... però non posso parlare.”

 

 

 

            Per almeno mezz’ora, David ascoltò silenziosamente e deliberatamente il movimento della forza vitale, il fluire delle sensazioni vibratorie, una sorta di sesto senso del quale siamo tutti capaci quando la nostra consapevolezza si focalizza sul sempre presente senso del corpo. Di tanto in tanto, apriva gli occhi per accertarsi che io fossi sempre lì. Poi sorrideva, richiudeva gli occhi e tornava all’esplorazione della vita del suo corpo, i suoi veri sentimenti.

 

            Più tardi, parlammo, scambiandoci descrizioni delle nostre esperienze. Le nostre voci erano morbide nella stanza. Le parole, le poche di cui ci fu bisogno, semplici.

 

 

 

            “Sentivo che tu mi tenevi al sicuro e sapevo che andava bene essere me stesso.”

 

            Io gli dissi che ero onorato di essere stato lì con lui e di come questi momenti di epifania fossero fonte di ispirazione per ogni volta che si verificavano durante un lavoro.

 

            Fissammo un altro appuntamento per la prossima settimana, ci sorridemmo e ci salutammo. Lui uscì sulla veranda fuori dallo studio, alzò lo sguardo al cielo, tese le braccia e spinse in fuori il petto, poi tirò un profondo respiro e s’incamminò lentamente verso la strada. Io gli andai dietro per una decina di metri, chiedendogli di fare un giretto attorno, di sentire i suoi piedi sull’asfalto e le sue gambe che si muovevano, prima di salire in macchina per tornare a casa.

 

            Nelle settimane che seguirono, la vita di David cambiò. Affascinato dalla vita del corpo umano, si iscrisse a una scuola di massaggio e scoprì che la sua ispirazione, il suo piacere di lavorare e servire venivano accentuate dal praticare massaggi. Si diplomò e in breve tempo trovò lavoro come massaggiatore in una stazione climatica della zona. Il lavoro lo entusiasmava. Iniziò anche a cercare un posto nel quale vivere tranquillamente da solo per un periodo. Disse che sentiva la necessità di “staccare un po’” dalle relazioni con le donne. Di rallentare e ritrovarsi.

 

 

 

            “Ho realizzato” disse, “di non sapere chi sono in quanto uomo sessuale. Però mi piaccio e so di voler essere felice con qualcuno, quando verrà il momento.”

 

 

 

            Mentre scrivo queste parole, David e io abbiamo lavorato assieme per un anno e mezzo. Trascorreremo i prossimi incontri parlando del nostro lavoro, ricordando, preparandoci a concludere la nostra associazione professionale. Vogliamo essere sicuri che non rimanga niente in sospeso da comprendere, nessuna emozione inespressa. E’ importante per entrambi finire nella chiarezza. La vita va avanti e forse David dovrà ancora affrontare il più esigente risultato del nostro tempo assieme: imparare a vivere con la felicità.  

 



1 I punti di pressione sono zone ben specifiche localizzate in varie parti del corpo che, quando toccate con grande concentrazione e chiaro intento, rilasciano immediatamente un’ondata di energia vitale, causando spesso un intensificarsi della consapevolezza e uno stato di rilassamento.